Beppe Ciardi nacque a Venezia nel 1875, figlio del noto pittore Guglielmo Ciardi. Fin da giovane mostrò un talento precoce, tanto che nel 1894 espose a Milano una serie di paesaggi e marine, firmandosi per la prima volta con il diminutivo “Beppe”. Questo esordio promettente spinse il padre a fargli proseguire gli studi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove fu allievo di Ettore Tito per la figura e dello stesso Guglielmo per il paesaggio.
Durante gli anni della formazione, Ciardi si orientò sempre più verso una pittura en plein air, e nel 1898 ottenne i primi riconoscimenti importanti, tra cui l’acquisto di una sua Veduta delle Alpi da parte della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. In questi anni si distaccò progressivamente dallo stile paterno, avvicinandosi al simbolismo nordico e alle correnti liberty.
A partire dal 1899 partecipò con regolarità alla Biennale di Venezia, diventandone uno dei protagonisti. Ottenne premi in Italia e all’estero (Brera, Monaco di Baviera, San Francisco) e consolidò la propria identità artistica attraverso paesaggi poetici, spesso ispirati alla vita rurale e ai silenzi della natura, in cui la luce, soprattutto lunare, diventava elemento narrativo centrale.
Nel 1902 sposò Emilia, sua compagna di vita e musa, stabilendosi nella campagna trevigiana. Negli anni seguenti, tra Biennali, mostre internazionali e personali, la sua pittura si fece sempre più matura, con una pennellata pastosa, tonalità calde e soggetti sempre più legati al paesaggio veneto e alla quotidianità contadina.
Nel 1912 la Biennale gli dedicò una sala personale con 45 opere: un riconoscimento alla sua ricerca coerente e poetica. Anche durante la Prima guerra mondiale, nonostante le difficoltà del tempo, continuò a dipingere, trovando ispirazione anche nei paesaggi della Romagna, dove si era rifugiato con la famiglia.
Negli anni Venti la sua pittura si fece più cromatica e libera, avvicinandosi in parte alla sensibilità della sorella Emma Ciardi, anch’essa pittrice. Partecipò a numerose esposizioni in tutta Italia, da Palermo a Roma, confermando il suo ruolo di primo piano nel panorama artistico nazionale. Le sue opere spaziarono da vedute veneziane a marine, paesaggi montani, tramonti, atmosfere rurali: un’arte colta, moderna, radicata nella tradizione veneta ma aperta alle nuove suggestioni del secolo.
Nel 1932, pochi mesi prima della sua scomparsa, partecipò alla sua ultima Biennale con opere dedicate al Veneto, sintesi ideale di una vita interamente consacrata alla natura e alla luce.
Morì a Quinto di Treviso il 14 giugno dello stesso anno, lasciando un’eredità artistica ricca e personale, sospesa tra lirismo e osservazione, tradizione e rinnovamento.
Testi: Al. Conti
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