invito-Mostra-David-Finkbeiner-800artstudioDAVID FINKBEINER
11 – 31 luglio 2015
inaugurazione Sabato 11 luglio 2015, ore 18.30
Lucca, Via del Battistero 22/24

Catalogo in galleria

testi di:
Margherita Loy (translated by Beth Elon)

Chiara Valabrese (translated by Marta Braun)

Foto di:
Lucio Ghilardi

 

David - Finkbeiner - Senza - titolo - n - 3

Senza titolo n° 3 – da Le Cave, 2008 – gouche su mylar, cm 58 x 44

Colori e luci che diventano voci

I pastelli e le goauche di David Finkbeiner

Quello che inizialmente mi ha colpito durante la visita allo studio di David Finkbeiner è stato il contrasto tra il garbo elegante dell’artista e la durezza delle sue opere; la cordialità di questo americano trapiantato in Valdottavo, la sua generosità, sembrano agli antipodi della poetica solitaria espressa dai suoi pastelli e dalle sue gouaches; perentori, nella loro apparente disperazione. altro contrasto: l’esterno del suo studio, temporaneamente situato in un’officina abbandonata immersa in una natura inselvatichita (rovi, qualche lamiera, la porta di ferro arrugginito, il muro di cemento con stinte pennellate di rosa) e l’interno: luminoso, pulito, ordinato e accogliente; tutto è pace: le matite allineate, i suoi pastelli su carta Magnani tenuti in una grande cassettiera, le pareti bianche con altri lavori. David comincia a tirare fuori le opere con gesti calmi e misurati e mi racconta delle 8 serie (Bugnano, inverno, Marconi, Cava, Stalla di villa reale, Fenice, Dresda e Miscellanea) che compongono questa mostra. Sotto i miei occhi sfilano le opere, nella testa le parole. abbandono, è la parola principe per entrare nell’ opera di David Finkbeiner. Poi, Solitudine. Desolazione. Fili di ruggine che sembrano lacrime. Vuoto. Silenzio.

Ovunque nei suoi pastelli e nelle gouaches su mylar ci sono segni della vita di un tempo: affreschi sbiaditi, graffiti, tubi, travi. Scale che non arrivano a toccare il suolo e restano bianche, opache e sospese, come una domanda senza risposta, o meglio una domanda che cade nel silenzio. Ma, man mano che le osservo, scorgo nelle opere tracce di vita e mi dico che David Finkbeiner sa raccontare l’assenza, come nello splendido pastello in cui c’è l’ombra del gatto sulla terrazza, ma il gatto non c’è. Però sappiamo che c’è stato. La sua evocazione lo rende altrettanto vivo, anzi più che vivo: la sua ombra nera ci rende intatto l’amore di cui è stato oggetto.

David-Finkbeiner-Senza-titolo-n-4

Senza titolo n° 4 – da La Villa Marconi, 2011 – pastello su carta, cm 76 x 56

Nei quadri dedicati alla sua casa, della serie La fenice, l’abbandono sta per tornare a nuova vita; i lavori di ristrutturazione riporteranno l’edificio alla smagliante bellezza di un tempo. Per le altre serie, la Cava, Marconi, Bugnano, la Stalla di Villa reale, il destino finale degli edifici sembra l’oblio: ma non è così. anche queste sono “fenici”, perché quei luoghi rivivono nei quadri. Se nell’abbandono vive acquattato il tema della morte, il momento in cui l’abbandono si fa arte, miracolosamente risuona la vita. Un suono che trova la sua partitura nei colori: quasi in ognuna di queste opere c’è un’eco di infanzia felice, il verde di certe finestre scolla il grigio dell’interno abbandonato, una porta di legno marrone è rimasta intatta, il blu intenso di un muro rievoca l’amore dell’antico proprietario per quel luogo. anche nella solitudine di quel ritorno a casa della serie inverno, le tracce di un’automobile sulla strada innevata che finiscono tra due piccoli grigi pilastri di ingresso (un quadro che ha una forza narrativa sorprendente) evocano un camino acceso, una casa che aspetta il suo padrone.

David Finkbeiner non poteva lasciarsi sfuggire il richiamo di un edificio abbandonato in mezzo a un campo di mais vicino a Camp Derby, a Coltano: è la prima stazione radio italiana costruita per volere di guglielmo Marconi nel 1911. Due travi nere, come una croce disfatta a ricordare un tempo l’incrociarsi vivace delle antenne per trasmettere i primi messaggi radio. Una corda avvolta a un albero, davanti a una porta sfondata. Ma improvviso appare il verde di una foglia, un’ombra celeste che balena nello sfondo, come se tra la desolazione vivesse ancora una testimonianza. osservo i bianchi abbaglianti della serie Bugnano, il paese fantasma, e penso che i luoghi abbandonati portano con sé un mistero e un potere evocativo spaventoso, perché risvegliano in noi il tema della fine di ciò che oggi abitiamo ma domani non più. Potrei parlare di atmosfere “oniriche”; quando la natura penetra i luoghi sotto forma di albero, pianta, ombra, luce abbagliante, ma preferisco definirle “atmosfere poetiche”. atmosfere rese originali, uniche e bellissime grazie alla grande sapienza con cui David Finkbeiner usa i colori. e la luce. Luce creata con bianchi caldi o più freddi, luce che crea forme ora morbide, ora più squadrate, sulle quali cala la scure di un segno nero e deciso: una sbarra netta che chiude il gioco del bianco, un’ombra che disegna un perfetto triangolo in una cornice piena di sole. Un esempio emblematico di questa perfetta astrazione raggiunta grazie all’ uso di luce e ombra lo troviamo nella composizione del quadro della serie La cava, dove le betoniere nere ritagliano la solarità ricreando la loro stessa forma rovesciata. Si capisce allora che l’occhio rapace dell’artista ha visto, improvvisamente, “un quadro” nella realtà che lo circonda, una realtà innocente e disfatta che, involontariamente, ha composto in quei luoghi desolati un’immagine piena di forme e suggestioni. È un gioco, quello di David Finkbeiner, tra realtà e astrazione. L’artista capta un dettaglio, una finestra diventa un rettangolo, una trave diventa un taglio nero che separa lo spazio, una placca elettrica diventa un rettangolo giallo al centro di un muro: l’astrazione è suggerita dalla vita, non dal pensiero.

Noi non sappiamo quali vite abbiano accolto questi luoghi abbandonati, la cava in disuso, il paese di Bugnano svuotato, Dresda o le stalle di Villa reale: possiamo però immaginare quelle mura abitate di voci che entrano ed escono dalle finestre, voci come verdi improvvisi che si spalancano dalle terrazze. Voci che si rincorrono, si cercano; ecco, nei quadri di David io sento ancora un’eco di quelle voci. Quelle voci sono diventate luce e colori. Per “sentirli” basta lasciarsi andare all’emozione.

Margherita Loy

© Studio D’Arte dell’Ottocento – Livorno – Lucca